Il titolo Tutto è già vostro è un omaggio a Carlo di Borbone (che verrà chiamato Carlo III una volta divenuto sovrano di Spagna): si tratta di una citazione proveniente dal Primo Tomo de Le Antichità di Ercolano Esposte, un’opera decisiva per la cultura dell’antico, nata dall’attività dell’Accademia Ercolanese, fondata proprio dall’illuminato sovrano.
Nella pagina iniziale del volume si possono leggere le parole degli accademici Ercolanesi destinate al re:
“Nell’offerire a Vostra Maestà il primo Tomo delle Antichità di Ercolano, e contorni, riguardante una picciola parte delle pitture, sentiamo il grande onore, che ci viene dalla vostra benignità. Tutto è già vostro quello che Vi portiamo”
(da: Le pitture antiche di Ercolano e contorni incise con qualche spiegazione. Tomo I, Napoli, Regia Stamperia, 1757)
La mostra
Come gli accademici di Ercolano, Daniele Sigalot sa che offrire qualcosa a un re che possiede tutto è un gesto coraggioso, ancora più audace è sperare di riuscire a stupirlo. E se la Maestà nel 1757 era una, oggi i visitatori della Reggia sono migliaia, catturare la loro attenzione è difficile, perché sono già immersi in un capolavoro di bellezza. Le installazioni di Daniele sono senza dubbio scenografiche: l’unico modo per non sfigurare al cospetto dello Scalone d’Onore di Vanvitelli!
Osservando le sue opere assistiamo ad una sorta di trompe-l’oeil postmoderno: in scena vi è un oggetto che riproduce l’imitazione di un altro oggetto, di cui riconosciamo le sembianze, salvo accorgerci un attimo dopo che i materiali con cui è stato realizzato non sono usuali. Anzi, assumono una funzione opposta.
L’immediatezza del linguaggio di Sigalot resta coerente anche nella scelta dei materiali: nei suoi aeroplani, marchio di fabbrica di Blue and Joy da sempre, l’alluminio ha sostituito la carta, privandola della sua estemporaneità. Il gioco della nostra infanzia diviene così eterno, senza astrarsi dal luogo in cui si trova, così gli aerei si conficcano nel muro riproducendo il pavimento della vicina sala di Astrea. Gli aerei sono fatti anche di acciaio, per la prima volta l’artista si è misurato con questa lega, trascorrendo giorni in fabbrica a sperimentare. Sia alluminio che acciaio sono materiali poveri, che però somigliano a metalli pregiati, un altro equivoco in puro stile Blue and Joy.
Protagoniste indiscusse della mostra sono proprio le idee, rese oggetto: due sale concedono gloria a tutte le intuizioni dell’artista, anche quelle sbagliate. L’immagine ormai desueta dello studioso che getta i fogli, appallottolandoli quando non è soddisfatto delle sue trovate, prende vita con rinnovate vesti. Ancora una volta i fogli sono in alluminio verniciato, indistinguibile dalla carta se osservato da lontano. Le pessime idee sono necessarie per favorire l’arrivo di quelle buone che a ma- lapena si distinguono da quelle spiegazzate, e appaiono meno interessanti.
Daniele mostra di essere figlio sia delle avanguardie, che della pop art (è un caso che abbia lavorato per dieci anni nella pubblicità?), e indubbiamente ni- pote dei Young British Artists. Impossibile non scorgere citazioni di un maestro dell’arte povera come Pistoletto nel suo autoritratto, così come un omaggio a Hirst in Untitled. Gli artisti lo sanno: non si inventa nulla, l’arte è ciclica, ritorna in diverse forme, tutto ciò che conta è saper immortalare la propria epoca. Un’epoca in cui le pillole sono sinonimo di felicità, come nella sala che Daniele ha deciso di inondare di capsule. Ma in fondo le pasticche non sono sempre state un simbolo di evasione e di libertà? Non davano la felicità anche in Matrix o in Alice nel Paese delle Meravi- glie (sotto forma di funghi)? O forse le pillole sono solo un espediente, per attirare l’osservatore, in un eter- no gioco delle parti e un’interpretazione che può essere soltanto suggestiva e personale.
Sigalot non perde però il contatto con la realtà: le sue lettere al destino e al fu- turo sono quelle che ogni lavoratore precario vorrebbe indirizzare all’ignoto che lo attende. L’artista si rivolge anche alla “Dea Arte”, quella che accoglie sull’O- limpo solo chi realizza opere incomprensibili. Di certo non le sue.
La mostra si chiude con un quesito: le installazioni sono destinate ad essere dimenticate? Solo la pittura può aspirare all’eternità?
Con l’opera Enough Sigalot vuole dimostrare ai colleghi, e amici, pittori che anche le installazioni possono sfidare il tempo: un cronometro irreversibile con una doppia alimentazione occupa l’ultima sala. Continuerà a contare fino al 28 Aprile 3016. Ovunque si trovi. In definitiva per capire davvero i lavori di Daniele Sigalot è sufficiente non prendersi troppo sul serio, e soprattutto non prendere troppo sul serio una re- altà che acclama e rende arte qualsiasi cosa, purché incomprensibile. Il fantomatico potere dell’artista non esiste, l’arte avviene negli occhi di chi os- serva, nel suo pubblico.
Daniele tenta di stupire e ingannare la mente: sono le uniche regole di questo gioco che vive di equivoci, sia semantici che semiotici.
A cura di Maria Letizia Tega