Daniele Sigalot depositario di una strategia, nella messa in atto di progetti ideati concettualmente e messi in opera visualmente, trova la modalit estetica di coniugare la forma all’idea, realizzando grandi scenari di installazioni site-specific.
“Una sfida al nulla” si articola in una sequenza di installazioni che coniugano i topoi dell’artista agli stilemi architettonici di Palazzo Tagliaferro, riproducendone perfino i fregi nei suoi tappeti di capsule medicinali colorate.
“ma tu sapresti aiutarmi a realizzare un countdown dalla durata un po’ particolare?”
“quanto dovrebbe durare?”
“una cosa semplice: mille anni!”
“e perché mille anni?”
“perché penso che siano abbastanza.”
“ma tu sapresti aiutarmi a realizzare un countdown dalla durata un po’ particolare?”
“quanto dovrebbe durare?”
“una cosa semplice: mille anni!”
“e perché mille anni?”
“perché penso che siano abbastanza.”
La mostra
Il pubblico di Contemporary Culture Center si confrontaconunacomposizione,apavimento,diansiolitici che riconducono, metaforicamente e psicologicamente, agli effetti depressivi indotti dal martellante linguaggio ansiogeno dei mezzi di comunicazione di massa e dei social. in epoca di pandemia da Covid 19, diffuso senza soluzione di continuità.
Una parete bianca diventa “geometrico” bersaglio, a cerchi concentrici, di 128 microaeroplani in acciaio, prodotti dall’azienda Wem. Realizzato solitamente in carta con la tecnica orientale dell’origami, questo oggetto d’arte si carica di una doppia valenza oscillante tra il ludico, in mani infantili, e il bellico, in mani adulte. Ossessivo il gesto ripetitivo per realizzarlo, ironico il ribaltamento del materiale da fragile a resistente. L’installazione “Bip”, formata da micro-aerei ora ossidati e ora lucenti, mentre da una parte rinvia a un inquietante segnale acustico elettronico, dall’altra delinea, a parete, una sorta di Zeta di Zorro, di cattelaniana memoria.
Le curatrici della mostra, Viana Conti e Christine Enrile, invitano il pubblico a vivere l’evento espositivo, fin dall’ingresso, come un’autentica sfida al gioco, instaurando con Daniele Sigalot un rapporto di complicità e coinvolgimento. Il contesto estetico in cui si muove
Sigalot si connota come critico e autocritico insieme. Consapevole della difficolt di comprensione immediata di un prodotto d’arte contemporanea, assume, ora il ruolo dello spettatore informato, che frequenta le fiere d’arte e le grandi rassegne internazionali, ora quello del contestatore, che banalizza gesti d’artista come, a titolo d’esempio, quello del “taglio iconico” di Lucio Fontana, dei barattoli di merda di Piero Manzoni, delle Zuppe Campbell di Andy Warhol, che chiunque potrebbe praticare. La serie dei Post-it in acciaio: Questo lo potevo fare anch’io, Niente di significativo qui, Quando ho comprato quest’opera d’arte evidentemente avevo abusato di Champagne, esposti in mostra, ha proprio questa funzione paradossalmente autocritica. Fotografie di segnali d’emergenza di fumo colorato in mare e altri elementi di provocazione e sfida, mentre inducono lo spettatore a riflettere, citano anche artisti come Cattelan e Koons, attivi/reattivi in simile contesto. Ancora in questo spirito, la scritta neon Azzurro crea un effetto di rosso sulla parete.
L’installazione in acciaio riflettente “Quando il soffitto scoprì di non essere più lì”, in una delle splendide sale di Palazzo Tagliaferro, mirabilmente restaurate, restituendo vita agli affreschi, ma lasciando parte del soffitto bianco, rappresenta la perfetta espressione di leggerezza e gioco dell’assurdo a cui l’artista vuole introdurci.
Daniele Sigalot, in un’epoca in cui l’anthropos può arrivare a un secolo di vita, lavora sulla dimensione temporale come nell’installazione elettronica “Enough” Funzione dell’opera è rispondere alla domanda sulla sua possibile validità, trascorsi mille anni dalla realizzazione. L’artista affronta, in una società di massa, connotata da un’irrefrenabile consumismo, con lucida ironia e spirito ludico/critico, la questione della gratuità del gesto artistico in termini di profusione, ripetizione miriadica dello stesso oggetto, ambiguità percettiva, eccesso.
“Daniele Sigalot si impegna in una puntigliosa ricerca del senso giusto là dove non esiste o non cessa di negarsi. Ogni sua opera, ogni sua mega-installazione, rappresenta un cangiante autoritratto il cui soggetto si interroga senza aspettare alcuna risposta. è forse un gioco assurdo, una sfida al nulla, una sistematica pratica di autonegazione?
L’effetto ottenuto, comunque, è quello di far riflettere lo spettatore, su quei valori di fondo che sono venuti a mancare, sulle profonde questioni dell’essere, avvolgendolo in fantasmagorici scenari onirici. I suoi feticci sono oggetti, attitudini, parole, provocazioni al senso dell’esistenza e del far arte”.